Tim Biskup, Doom Loop # 22, 2012, Graphite And Cel Vinyl On Canvas, 122 X 122 Cm

20.09 – 17.11.2012

TIM BISKUP – Excavation

a cura di Luca Beatrice

Il 20 settembre Antonio Colombo inaugura la nuova stagione espositiva con la personale del famoso artista californiano Tim Biskup, alla sua prima sua mostra in Italia, dal titolo Excavation.

Scrive Biskup a proposito della nuova mostra:
“Questa mostra apparentemente sembra concentrarsi su temi della vita, della morte e della spiritualità, ma non è come sembra. Questi lavori sono frutto di una lunga meditazione. Cercare di trovare una via mezzo tra le mie ricercate scelte estetiche e l’imprevedibilità dei gesti più spontanei, ha richiesto un altissimo livello di concentrazione e attenzione, che prima di questa serie di lavori non pensavo di avere. Ho avuto una sorta di rivelazione di fronte al lavoro di William De Kooning al Moma di New York lo scorso novembre. C’è un senso di pura traslazione della sua umanità tra le sue tele e le sue linee. Potevo sentire la sua sofferenza, la sua felicità e il suo desiderio per l’immagine che fluttuava nella sua testa. Mi è servito per ricordarmi chi sono, cosa amo dell’arte e come la costante pressione del nostro istinto creativo debba essere rispettata e ascoltata. E’ con questo spirito che ho cominciato a lavorare e a produrre i nuovi lavori. Di conseguenza, il titolo di questa mostra, deriva appunto, con tutto il dovuto rispetto, dal titolo del suo lavoro “Excavation”. Il mio naturale punto di partenza per i nuovi lavori è stato certamente l’astrazione. E’ dove ritrovo le linee più pure. Il mio stile e la mia personalità diventano libere e intense quando butto via tutto il resto. I dipinti e i disegni astratti mi ricordano la mia identità e mi preparano ad approcciarmi alla figurazione. La prima immagine che è emersa, è stata ovviamente, un teschio umano. Da quando mi ricordo, sono sempre stato ossessionato da questa figura. Ovviamente, non sono l’unico. Forse per la complessità e nello stesso tempo per l’eleganza delle sue geometrie e l’equilibrio estetico del soggetto. Più probabilmente questa attrazione scaturisce dalle nostre viscere e non dagli occhi. Il teschio siamo noi stessi, strappati alla vita. E’ un chiaro ricordo della nostra mortalità. Può essere un brutale e snervante segnale che ci fissa e che ci riempie di terrore, oppure nel migliore dei modi ci riporta al presente e ci ricorda di apprezzare le nostre vite. Le immagini che si sono susseguite sono di donne. Questo non è semplicemente un elogio al lavoro di De Kooning, ma anche alle controversie che affrontò quando il pubblico si trovò di fronte alle sue rappresentazioni di figure femminili. Con questo non voglio dire che lui sia sempre stato incompreso. Si è fatto guidare dal suo naturale interesse, esprimendo qualcosa che nemmeno lui poteva completamente afferrare. Questo è stato lo scopo del mio lavoro. Trovare il fulcro della mia identità artistica e esprimerla nel modo più naturale possibile. E’ snervatamente personale. Forse, dopo tutto, si tratta davvero di vita, morte e spiritualità.”

Nato nel 1967 a Santa Monica, Biskup vive nel Sud della California e ne incarna lo stile di vita e la sensibilità estetica. Pur avendo avuto una formazione accademica, la interrompe presto e lascia nel 1988 la Otis School, rifiuta l’arte tradizionale e si fa affascinare dall’ambiente della musica punk e dei cartoon disneyani. Impara le tecniche di animazione, illustrazione, grafica e design industriale traducendole in un linguaggio volutamente popolare. Oltre a dipingere produce multipli, stampe, toys, libri e immagini per concerti rock.
Considerato tra i maggiori esponenti della corrente Low Brow ne incarna l’anima teorica e forse meno immediata. Ha esposto con vari artisti del gruppo, tra cui Gary Baseman e Mark Ryden, nelle gallerie di riferimento storico, come La Luz de Jesus.
Negli anni il lavoro di Tim Biskup ha subito evidenti cambiamenti, anche dal punto di vista stilistico. L’artista ha sviluppato una tecnica molto personale caratterizzata da poligoni e sfaccettature che ha reso i suoi dipinti più precisi e puliti, senza colpi di pennelli o linee curve, una pittura molto “sterile e severa” che rispecchia il suo bisogno di rendere il proprio lavoro una sorta di meditazione o di processo matematico.
I suoi quadri più recenti sono quasi completamente astratti, altri sono basati su sue fotografie o su immagini tratte da film. Lui stesso si definisce un nuovo espressionista astratto, pur non rinunciando del tutto ai soggetti, in particolare donne, animali e teschi; soprattutto di questi ultimi dice di non averne mai abbastanza, per Biskup si tratta di icone cariche di intensità e molto legate alla sua storia personale (film horror, punk rock, religione, misticismo, scienza).

Tim Biskup (Santa Monica, CA, 1967) vive e lavora a Los Angeles.
I suoi lavori sono stati esposti in importanti musei e gallerie tra cui a Los Angeles, New York, San Francisco, Tokyo, Kyoto, Barcellona, Berlino, San Paolo, Buenos Aires e Melbourne.
Tra le numerose mostre ricordiamo le più importanti: nel 2011 Former State, This Gallery, Los Angeles, nel 2010 Fantasilandia, Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano, Awesome Paintings, All Tomorrow’s Parties Gallery, New York, nel 2009 The Mystic Chords of Memory, Iguapop Gallery, Barcellona, nel 2008 O/S Operating System, Addict Galerie, Parigi, The Artist in You, Jonathan Levine Gallery, New York, nel 2007 Ether, Billy Shire Gallery, Culver City, California, nel 2006 Vapor, Galerie Engler, Berlino, Pervasion, Laguna Art Museum, Laguna Beach, California

Biskup. Dall’underground al museo

di Luca Beatrice

Sono ormai diverse stagioni che il Low Brow (o Pop Surrealism) rappresenta una delle dimensioni più innovative nella pittura contemporanea. L’essere partito dalle zone oscure, dagli ambienti underground e di culto, hanno garantito a questo genere libertà di azione e di movimento, potendo pescare tra i più diversi linguaggi attigui, dall’illustrazione al design, dalla musica al fumetto. Rispetto al primo decennio del secolo, buona parte degli artisti inclusi in tale corrente, che hanno condiviso percorsi analoghi di mostre, gallerie, pubblicazioni ecc…, sta dimostrando un’eccellente maturità, e oggi quella netta separazione tra il mondo della cosiddetta “alternative” e il mainstream sta venendo meno. A proposito di molti di loro si parla ormai con insistenza come dei pittori americani più rappresentativi delle ultime generazioni. Il museo dunque è davvero alle porte.
Accade dunque che il linguaggio si stia modificando in tal senso, svelando l’ambizione di approdare a forme più complesse e riflessive, magari meno immediate, di assoluta sostanza. E’ il caso di Tim Biskup, alla sua prima mostra personale in Italia. Nato nel 1967 a Santa Monica, Biskup ha ereditato dalla cultura visiva californiana il segno acido e sintetico condiviso sia con il mondo dell’illustrazione sia con i lavori di pittori della West Coast come Lari Pittman o Manuel Ocampo, ma certamente meno simbolico. Pur avendo avuto una formazione accademica, Tim la interrompe presto e lascia nel 1988 la Otis School, rifiuta l’arte tradizionale e si fa affascinare dall’ambiente della musica punk e dei cartoon di Walt Disney. Impara le tecniche di animazione, illustrazione, grafica e design industriale traducendole in un linguaggio volutamente popolare. Oltre a dipingere produce multipli, stampe, giocattoli, libri, locandine e poster per concerti rock.
Negli anni il lavoro di Tim Biskup ha subito evidenti cambiamenti, dal punto di vista concettuale e stilistico. L’artista ha sviluppato una tecnica molto personale caratterizzata da poligoni e sfaccettature che ha reso i suoi dipinti più precisi e puliti, senza colpi di pennelli o linee curve, una pittura molto “sterile e severa” che rispecchia il suo bisogno di rendere il proprio lavoro una sorta di meditazione o di processo matematico. La geometria è stata sempre un’ossessione nel suo stile, anche quando realizzava immagini riconducibili alla realtà, icone intense e molto legate alla sua storia personale, amante dei film horror e del punk, stimolato dalla religione e dal misticismo, incuriosito dalla scienza.
Tim è un ragazzo che dimostra meno dei suoi 45 anni, porta i capelli abbastanza corti, barba e pizzetto curati e un look che segue la moda nel segno della sobrietà, con un bel paio di occhiali dalla montatura scura alla Buddy Holly. Nell’iPod tiene la “sua” musica, un mix tra rock alternative, elettronica e noise che si produce da solo e che spesso fa da colonna sonora alle sue mostre.
Gli piace definirsi un “nuovo espressionista astratto” e questo desiderio di etichettarsi all’interno della corrente che di fatto decreta l’inizio dell’arte americana per eccellenza, finalmente slegata dai modelli europei, stupisce solo fino a un certo punto. Gli anni Cinquanta, che hanno visto il passaggio cruciale dalla pittura gestuale e segnica (in Europa la chiamavano Informale mentre negli States questo termine è pressoché sconosciuto) ai primi esempi di polimaterismo e nuova oggettività (in Rauschenberg e Johns) fino all’esplosione della Pop Art, restano il paradigma, rappresentano la tradizione di un Paese giovane che non si trova certo costretto ad affrontare un peso secolare come il nostro. Erano tempi in cui arte e trasformazione sociale correvano di pari passo; critici e teorici quali Rosenberg e Greenberg confutavano, anche aspramente, le loro posizioni e la pittura cominciava a sentire la responsabilità di affrontare la sfida della tridimensione e dello spazio. Sono passati oltre sessant’anni e molte cose sembrano tornate al punto di partenza: in fondo in America la pittura non ha mai conosciuto l’oblio né si è dovuta difendere dalle periodiche campane a morto suonate dai critici più contemporanei e à la page. Sta bene, e basta. L’arte astratta continua a esercitare fascino perché di generazione in generazione viene percepita come il punto di partenza della modernità. La storia americana con cui fare i conti.
“Excavation” è il titolo che Biskup ha voluto dare alla sua personale milanese, sottolineando con ciò il bisogno di cercare le radici del proprio fare rivisitando, in un processo che definisce lungo e complesso, la pittura che sta alla base della sua ispirazione. Lo scatto sarebbe avvenuto –è proprio Tim a raccontarlo- di fronte ai lavori di William De Kooning esposti al MoMA di New York: “c’è un senso di pura traslazione della sua umanità tra le sue tele e le sue linee. Potevo sentire la sua sofferenza, la sua felicità e il suo desiderio per l’immagine che fluttuava nella sua testa. Mi è servito per ricordarmi chi sono, cosa amo dell’arte, e come la costante pressione del nostro istinto creativo debba essere rispettata e ascoltata”.
Da un artista conosciuto per il segno grafico acido, i colori squillanti, riconducibile senza dubbio all’universo alternativo del Low Brow, forse non era legittimo aspettarsi l’approdo all’astrazione: eppure è proprio lì “dove ritrovo le linee più pure. Il mio stile e la mia personalità diventano libere e intense quando butto via tutto il resto. I dipinti e i disegni astratti ricordano la mia identità e con essi mi preparo a riavvicinarmi alla figurazione”. Questi nuovi lavori, tutti inediti, giocano sul filo della memoria ed è come se Biskup riportasse sulla carta o sulla tavola ciò che ricorda di un determinato oggetto, tentando di astrarne l’essenza pura rinunciando alla descrizione e al narrare. Dal punto di vista stilistico queste opere ricordano quelle di Terry Winters, un artista apprezzato anche in quanto teorico, che ha compiuto lo sforzo di riscattare il segno astratto dal meccanismo della casualità per inserirlo all’interno di un ordine matematico e architettonico.
Appare talmente concentrato in questa nuova fase Biskup, da utilizzare in versione mixata con l’astrazione, che qui prende l’antico aspetto decorativo, anche la “sua” immagine per antonomasia, una sorta di griffe, quella per cui il suo lavoro si riconosce a prima vista, ovvero il teschio, nel ciclo chiamato “Doom Loop” e numerato in ordine progressivo. “Da quando mi ricordo, sono sempre stato ossessionato da questa figura, forse per la complessità e nello stesso tempo per l’eleganza delle sue geometrie, l’equilibrio estetico del soggetto. Più probabilmente quest’attrazione scaturisce dalle nostre viscere e non dagli occhi. Il teschio siamo noi stessi, strappati alla vita. E’ un chiaro ricordo della nostra mortalità. Può essere un brutale e snervante segnale che ci fissa e che ci riempie di terrore, oppure nel migliore dei modi ci riporta al presente e ci ricorda di apprezzare le nostre vite”.
Forse varrebbe la pena di studiare più approfonditamente perché la nostra epoca è così affollata di immagini che rimandano alla “vanitas” e al “memento mori” che traggono origine nel barocco. Un fenomeno che dall’arte è transitato nella moda, passando per l’illustrazione, nel design e nella produzione di gadget, una mania che tocca i bijoux come le custodie per gli iPhone. Ma al netto di una motivazione psicologica (l’incertezza dei nostri tempi, la sensazione di non eternità che ci perseguita, la difficoltà di trovare un appiglio metafisico che ci faccia ben sperare in un oltre) resta da soffermarsi sulla bellezza e sul fascino dell’immagine tout court, perversa e affascinante, del teschio.
A fianco corrono, infine, figure femminili, come “The Litanies of Payton”, “Praetorian” e “Noise Filter”, quest’ultima una composizione bipartita che ricorda lo schema adottato da David Salle. Biskup ci indica ancora una volta in De Kooning e nelle sue straordinarie “Women”, dove il pittore d’origine olandese fece il percorso inverso rispetto a lui, e cioè suggerire, sconvolgendo i suoi ammiratori, delle immagini realistiche sotto la fitta texture gestuale, segnica e coloristica. “Questo non è semplicemente un elogio al lavoro di De Kooning, ma anche alle controversie che affrontò quando il pubblico si trovò di fronte alle sue rappresentazioni di figure femminili. Con questo non voglio dire che lui sia sempre stato incompreso. Si è fatto guidare dal suo naturale interesse, esprimendo qualcosa che nemmeno lui poteva completamente afferrare. E questo è stato lo scopo del mio lavoro. Trovare il fulcro della mia identità artistica ed esprimerla nel modo più naturale possibile. E’ snervatamente personale. Forse, dopo tutto, si tratta davvero di vita, morte e spiritualità”.

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