Simone Racheli, Anatomica Colf Caffettiera, 2004, Matita Su Carta, 35×45 Cm

18.11.2004 – 22.01.2005

SIMONE RACHELI – Anatomica Colf

a cura di Raffaele Gavarro

Giovedì 18 novembre negli spazi della galleria di Antonio Colombo inaugura la mostra personale di Simone Racheli, dal titolo Anatomica Colf.
Curata da Raffaele Gavarro, la mostra si snoda attraverso una serie di disegni, sculture, oggetti e installazioni, che descrivono un ambiente domestico sottoposto agli effetti di una forte pressione immaginativa.
Si passa dalla lavatrice con carrozzeria modificata, lavoro che tra l’altro dà il titolo alla mostra, in cui l’oblò è trasformato in un’iride rotante, a Ricominciamo, una installazione formata da oggetti casalinghi distrutti e ricomposti con colla e filo di ferro. Squarci sul muro mostrano i visceri-cavi che corrono invisibili e innervano il guscio domestico, mentre Resistenza, un piccolo tavolino a cui sono state segate tre delle quattro gambe, pur rimanendo perfettamente in piedi, diventa il paradigma visivo degli assurdi e imprevedibili equilibri quotidiani.
Nella “casa” non manca naturalmente il televisore, che qui trasmette un video con gocce che cadono in uno specchio d’acqua, che si rivelerà essere l’interno di un w.c. Le gocce fanno da cesura al racconto autobiografico di una donna extracomunitaria.

Nato a Firenze nel 1966, Simone Racheli, che ha vissuto a Roma per diversi anni prima di trasferirsi a Parma, sta praticando con modi sempre più sofisticati una scultura dalle straordinarie qualità imitative e mimetiche con il reale. Soprattutto con Anatomica Colf, la sua messa in scena, contaminandosi di linguaggi differenti, ha acquistato in complessità e capacità narrativa.
La mostra è accompagnata da un catalogo con un testo del curatore.
Simone Racheli. Nato nel 1966 a Firenze, vive e lavora a Parma. Mostre personali: nel 2003 Check point, a cura di Andrea Bellini, Galleria Autoricambi, Roma. Nel 2001 Domestica, a cura di Salvatore Galliani, Studio Ghiglione, Genova. Nel 1999 Un’opera, a cura di Augusto Pieroni, Delphine e Ludovico Pratesi, Roma. Nel 1998 Naturalmente, a cura di Augusto Pieroni, Galleria Maniero, Roma. Principali Mostre collettive: nel 2004 P.C./A.C. – KALS’ART, a cura di Giuliana Stella, Laura Garbarino, Matteo Boetti, Ex Deposito Locomotive S. Erasmo, Palermo; Arte italiana per il XXI sec., Lorenzo Canova, Palazzo della Farnesina, Ministero degli Affari Esteri, Roma. Nel 2003 XIV Quadriennale-Anteprima, Palazzo Reale, NA; Alto volume corporale, a cura di Gianluca Marziani, Palazzo Bice Piacentini, Centro arte contemporanea, S.Benedetto del Tronto, AP. Nel 2002 Exit, a cura di Francesco Bonami, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, TO. Nel 2001 Laboratorio materiale, a cura di Luca Beatrice, Chiesa del Suffragio-Galleria Astuti, Fano-Pesaro; Ultracorpi, a cura di Maurizio Sciaccaluga, Chiostro di S.Agostino, Pietrasanta, MS. Nel 2000 Mumble Mumble, a cura di Augusto Pieroni, Galleria d’arte Contemporanea, Castel S.Pietro Terme, BO; Sui Generis, a cura di Alessandro Riva, P.A.C., Milano. Nel 1999 Arte duemila, a cura di Ludovico Pratesi, Temple Gallery, Roma. Nel 1998 La raccolta dei mille progetti, Accademia di Francia Villa Medici, Roma; nel 1997 In che senso italiano?, a cura di Matteo Boetti, Galleria Anna D’Ascanio–Galleria Autorimessa, Roma e nel 1996 Realtà giovane, Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Suzzara, MN.

La prevedibile alterità delle cose (home sweet home)

Raffaele Gavarro

L’arte rimane a casa. In pantofole, stravaccata sul divano davanti al televisore, non vuole proprio saperne di uscire, prendere un pò d’aria e incontrare qualcuno.
Come dargli torto, con tutto quello che succede oggi nel mondo.
L’arte al tempo della guerra non è per niente a proprio agio. Chi e cosa del resto sono anche minimamente tranquilli in una situazione di così elevato pericolo generale e d’incomprensibile resa dei conti?
L’arte dunque rimane a casa e da lì per la verità dice molte cose alla piazza.
La casa, la dimensione del privato, la domesticità, sono infatti luoghi e condizioni in un certo senso universali. A parte la straordinaria normalizzazione su scala mondiale che sta realizzando l’Ikea, quello che qui interessa sottolineare è la possibilità di comprensione immediata che suscita parlare del luogo fisico, mentale ed emotivo che preserva noi stessi e le cose a cui teniamo. In un momento in cui la sfera del privato è sottoposta ad una totale esautorazione da parte del continuo posizionamento pubblico che impone il sistema dei mass media, l’arte reagisce rivendicandone lo spazio vitale, trasformando l’argomento in una dichiarazione se non proprio politica, perlomeno di valore sociale.
La nostalgia che avvertite come una sorta di rumore bianco in qualsiasi lavoro che abbia a che fare con questa dimensione, è l’immancabile residuo prodotto dalla consapevolezza della perdita da cui procede la riflessione, anche quando è l’ironia uno dei registri principali su cui è orchestrata la messa in scena.
Simone Racheli è un artista che sceglie di partire da coordinate progettuali tanto semplici quanto sofisticate nella risoluzione tecnica, e che riesce a far coincidere gli elementi concettuali fondanti con quelli immaginativi. La sua esperienza della scultura e della conseguente pratica installativa, è infatti di tipo mimetico con la realtà. Ciò comporta da una parte la chiara e immediata individuazione del soggetto protagonista e dall’altra un’intrinseca difficoltà tecnica nella sua riproduzione, che è aumentata dallo spostamento immaginativo dalla posizione che ha di norma nel quotidiano. Slittamenti minimi, che decontestualizzano il soggetto rispetto all’ambiente in cui è collocato, ma che soprattutto modificano lo stesso ambiente in cui sono collocati. Il vecchio trucco del surrealismo, che da grande padre poetico della modernità e della post, ha finito per penetrare nella realtà di tutti i giorni, assumendo la forma di trame nevrotiche ed ossessive. La banalità del quotidiano nasconde il grande disegno, il complotto comprensibile solo a pochi, mentre la maggioranza ne è vittima inconsapevole. Pensate a quanta letteratura straordinaria – da Thomas Pynchon a David Foster Wallace, da Philip Dick a Don De Lillo, ma ancora Viktor Pelevin, William Vollmann, Jonathan Lethem, Steve Erickson, Ray Loriga, Douglas Coupland, Matt Ruff – si muove sulle coordinate di questo surrealismo paranoicizzato dal suo stesso essere perfettamente inscritto nella realtà, e considerate come queste pagine abbiano poi nutrito il visivo collettivo attraverso cinema e televisione, trovando riflessi notevoli naturalmente anche nelle arti visive.
Se un elettrodomestico disegnato da Racheli non è solo un elettrodomestico, ma un corpo sconosciuto da sezionare e studiare nelle sue diverse possibilità di significato, questo è certamente frutto e parte di quell’immaginario.
Anatomica Colf è da considerarsi un corpo unico, un’opera singola che si snoda attraverso vari elementi, parti di un corpo-casa che fanno riferimento ad un principio di realtà banale colto in tutta la sua tipicità. La lavatrice con l’oblò-occhio che ipnotizza è proprio lì nello stanzino della casa di ognuno di noi. Incantati dal suo centrifugare variopinto, rimaniamo soggiogati da un pensiero inutile, oppure torniamo a qualcosa che c’è capitato e a cui non abbiamo in quel momento dato alcun valore. Capiamo d’improvviso che la vita, la realtà, non è come la stiamo vivendo, che siamo in una specie di piano parallelo senza possibilità alcuna di decidere del nostro destino. Lo scatto della fine del lavaggio ci riporta improvvisamente indietro, facendoci dimenticare tutto quello che un momento prima sembrava chiarissimo.
Un mistero, la lavatrice è senza dubbio un mistero, una specie di buco nero della nostra coscienza in cui si perdono odori, umori e riflessioni profonde sul nostro esistere.
Intorno a questo centro, per effetto di forza centripeta, si muove tutto quello che è il quotidiano flusso degli eventi della casa, così come intorno ad esso si dispongono gli oggetti del nostro tranquillo trascorrere tutti i giorni. Ricominciamo è il ricordo fisico di un momento drammatico. Una lite, la violenza che distrugge gli oggetti amorevolmente comprati, custoditi e usati, e il successivo pentimento. Di fatto guardiamo proprio l’evocazione di questo sentimento. Tutti gli oggetti sono pazientemente ricomposti, ricuciti, con le ferite che rimangono visibili e che sono lì a testimoniare l’irreversibilità dell’accadimento, nonostante tutto. Oppure si tratta di qualcosa che è avvenuto solo nella testa del nostro ipotetico solitario protagonista, che ha poi pensato bene di renderlo reale per far collimare la realtà con le sue visioni, tanto per non dover ammettere che ormai è irrimediabilmente dissociato.
Il piano inclinato della paranoia surreale percorre tutto l’ambiente della casa-galleria, e trova momenti di tensione elevata nello squarcio sulla parete che mostra l’innervazione dei cavi che la percorrono. Come di contro sa autoironizzare con Resistenza, un piccolo tavolino con tre delle quattro gambe segate e che rimane lì tranquillo in piedi a sfidare le leggi della fisica e della pazienza. La narrazione del luogo è modulata su questo continuo alternarsi di tensione e ironia. Si tratta di una conseguenza dell’intenzione – dichiarata e consapevole della parzialità dei risultati – di emulare la vita. Un flusso di eventi mai costante, regolato dall’incognita di quello che accadrà un istante dopo. Una condizione che è simbolicamente restituita da questo intrecciarsi e permutarsi di stati d’animo tra loro tanto diversi. Esemplare è il video che idealmente chiude il percorso di questo viaggio nella casa. Il televisore è in fondo l’altro fuoco dell’ellissi casalinga, molto meno misterioso dell’oblò della lavatrice, che invece di suscitare la produzione di immaginazioni paranoiche, ci inonda di immagini già di per sé sufficientemente sature di nevrosi.
Questa volta dallo schermo televisivo la storia che ci arriva è quella di una goccia d’acqua che cade in un chiaro specchio d’acqua. La superficie è percorsa dai cerchi concentrici delle onde provocate dalla goccia, mentre la voce di una donna, chiaramente extracomunitaria, racconta le difficoltà della propria vita. Ogni goccia un pezzo di racconto, fino a che si arriva ad una vera e propria cascata, l’inquadratura si allarga fino a mostrare che siamo all’interno di un cesso, dove naturalmente c’è qualcuno che ha appena tirato lo sciacquone.
Con Anatomica Colf è cambiato in modo significativo l’approccio con cui Racheli concepisce e realizza la sua rappresentazione del mondo. Rispetto a quando cercava un confronto diretto con gli eventi, costruendo ad esempio personaggi iperrealisti che parodiavano le azioni di quelli veri, o creando situazioni marcatamente inverosimili con elementi perfettamente credibili, la sua elaborazione è diventata più complessa. Il gioco del verosimile-inverosimile si è fatto più sottile e articolato. Il senso stesso complessivo dei lavori è la chiara conseguenza di una progettazione che mira ad ottenere una continuità non solo narrativa, ma soprattutto di concetto. La straordinarietà del lavoro di Racheli sta infatti proprio in questa partita doppia: da una parte costruire un piano parallelo alla realtà, perfettamente credibile nella sua realtà e configurazione come immagine; dall’altra infondergli quella sostanza di idee e di immaginazione che la rendano verosimile nel suo essere un’altra e diversa dimensione da quello che è il piano del reale quotidiano.
Una paranoia perfetta nel nostro presente.

Cerca