Sesana Donjuan

13.02 – 22.03.2014

CARLOS DONJUAN  MARTA SESANA – On the Border

a cura di Luca Beatrice

Antonio Colombo è lieto di presentare On the Border, la doppia mostra personale di Marta Sesana e Carlos Donjuan, a cura di Luca Beatrice.
Una mostra molto particolare, incentrata su almeno due concetti chiave: la pittura e la zona di confine, quella che accosta i lavori recenti dell’americano Carlos Donjuan e dell’italiana Marta Sesana. Opere che nascono in luoghi del mondo piuttosto lontani, con diverse geografie, temperature e sensibilità, eppure presentano un sentore comune, l’idea di confrontarsi con il tema dell’immagine contemporanea, tentando cioè di rispondere a una domanda piuttosto urgente nell’arte di oggi: è ancora possibile produrre una pittura figurativa al passo coi tempi, portatrice di novità pur rimanendo solidamente ancorata alla tradizione culturale appunto della figura?
Carlos Donjuan, a proposito del proprio lavoro, spiega che la sua poetica è composta in parte dal proprio ego, dall’adrenalina, dalla competitività, dalla strada e dalla curiosità di guardarsi intorno alla ricerca di un nuovo progetto. Nato in Messico nel 1982, si è formato all’università di San Antonio in Texas e ha in seguito svolto attività di insegnante in pittura e disegno. Il suo curriculum vanta molte presenze tra Texas e California e questa è la sua prima partecipazione a una mostra in Europa. I suoi lavori si alimentano della poetica di Graffitismo e Street Art (è autore di diversi interventi murali negli spazi pubblici), ma non nell’accezione comune discendente dagli anni ’80, bensì da una delle tante mutazioni genetiche che questo genere artistico ha subito nei decenni. Il suo mondo è popolato da personaggi e situazioni che gli derivano da un’acuta osservazione della realtà quotidiana, immediatamente traslata in un universo onirico e a tratti paradossale.
Molto attratto dal colore e da un segno di stampo cartoonistico, Donjuan è autore di ritratti fiabeschi e surreali. Le sue figure hanno in genere volti privi di tratti somatici oppure indossano una maschera che ne cela l’enigma della personalità. Nonostante si nutra della cultura dei luoghi a lui cari, al confine tra il Nord America e la componente latina più calda, possiamo ritrovare echi colti nella sua pittura, con composizioni che ricordano il surrealismo di Alberto Savinio e i mostriciattoli di Philip Guston, nell’ultima parte della sua carriera.
Marta Sesana è nata a Merate nel 1981. Vive e lavora a Milano in un appartamento molto piccolo dove supera i problemi di uno spazio ristretto operando con fantasia e tenacia. Si è formata all’Accademia di Brera ma a lungo ha abitato in provincia. Nel volume “Eccellenti pittori” Camillo Langone ha parlato di lei come di una “maga della tridimensione”, perché dotata della profondità di campo in quanto, “prima di dipingere realizza un modellino di ciò che deve dipingere con fil di ferro e carta di giornale e das”. Nei suoi nuovi quadri il verde è la dominante cromatica pressoché assoluta, un colore che domina l’approccio istintuale della percezione e permette analisi più approfondite del sottostante. Ecco quindi apparire figure e personaggi spuntati da foreste incantate e boschi magici. Ma si farebbe un errore a identificare Marta come un’autrice fantasy, nonostante una spiccata predilezione per la sospensione spazio-temporale e per le facce mostruose e tenerissime dei suoi personaggi. Tra i punti di riferimento cita volentieri Alessandro Pessoli, Dana Schutz e Syd Barrett, per le atmosfere allucinate delle sue composizioni con i primi Pink Floyd. E’ necessario prestare attenzione ai titoli dei suoi quadri, ad esempio “La bora” ispirato al celebre vento triestino, oppure “La foresta”, un complesso trittico che cita l’omonima canzone dei Cure. Dopo la mostra nello spazio sperimentale “Little Circus”, Marta Sesana torna alla galleria Antonio Colombo con la sua seconda mostra personale.

Marta Sesana è nata nel 1981 a Merate. Vive e lavora a Milano.
Tra le sue mostre personali “Cupio Dissolvi” a cura di Stefano Castelli, Studio d’Arte Cannaviello, Milano (2009), “Piazza d’uomo”, Nur Gallery, Milano (2011).
Tra le collettive “11° Premio Cairo” Museo della Permanente, Milano (2010), “Go with the Flow” a cura di Alberto Mattia Martini VIlla Bottini (Lu) (2012), “Something Else” a cura di Roberto Fantoni, Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano (2012) Marta Sesana è nata nel 1981 a Merate vive e lavora a Milano.
Tra le sue mostre personali “La Festa Della Luna”, Antonio Colombo Arte Contemporanea, “Cupio Dissolvi” a cura di Stefano Castelli, Studio d’Arte Cannaviello, Milano (2009), “Piazza d’uomo” Nur Gallery, Milano (2011).
Tra le collettive “11° Premio Cairo” Museo della Permanente, Milano (2010), “Go with the Flow” a cura di Alberto Mattia Martini VIlla Bottini (Lu) (2012), “Something Else” a cura di Roberto Fantoni, Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano (2012).

Carlos Donjuan è nato nel 1982 a San Luis Potosi, Messico. Vive e lavora a Dallas, Texas.
Nel 2013 è stato nominato da New American Paintings tra i 12 artisti più notevoli dell’anno.
Tra le sue mostre personali “Let Me Be Your Favorite Nightmare”, Kirk Hopper Fine Art, Dallas, Texas (2014), “Remove Your Veil”, HCG Gallery, Dallas, Texas (2010), “Tierra Nueva”, UTSA Satellite Space, San Antonio, Texas (2009), “The Ghetto Bird”, Gallery West, University of Texas at Arlington (2004).
Tra le numerose mostre collettive, ricordiamo nel 2013 “CrossSection”, HMAAC, Houston, Texas, nel 2012 “Richland College Faculty Art Show”, Brazos Gallery, Richardson, Texas, “Art and Advocacy”, F.I.G. Gallery, Dallas, Texas, “Serie Project”, Latino Cultural Center, Dallas, Texas, “Sesame Street Show”, KNOWN Gallery, Los Angeles, California, nel 2011 “Rest In Power”, Dallas Contemporary, Dallas, Texas, “Odyssey”, Brick Building, Culver City, California, “HEIR Today, Gone Tomorrow”, Mexican American Cultural Center, Austin, Texas, “Infinite Mirror”, Syracuse University Art Galleries, New York, nel 2010 “Something Good”, West 30th, Brooklyn, New York, “Predictions”, Brick Building, Culver City, California.

Luca Beatrice

On the Border

I’m out on the border, I’m walkin’ the line
Don’t you tell me ‘bout your law and order
I’m try’n’ to change this water to wine.
The Eagles, On the Border, 1974

Scrivere di pittura oggi è come stare sul confine e la questione non si limita allo spazio né alla geografia, ma investe piuttosto una predisposizione mentale. Ci siamo interrogati più volte e in diverse circostanze su quanto possa essere ancora efficace la riproposta di un linguaggio così a lungo praticato nella storia e per molti inadatto a rappresentare la tensione del presente. Se poi si parla di pittura d’immagine, semplicisticamente “il figurativo”, la questione si complica ancora di più, perché non ci è del tutto chiaro cosa abbia diritto di cittadinanza in quello che si definisce come sistema dell’arte contemporanea da quello invece destinato a vivere ai margini, se non addirittura a risultarne escluso.
Tra gli anni ’90 e l’inizio del nuovo decennio, ad esempio, imperava la logica del fondo bianco per una pittura sintetica, assai poco generosa che attraverso la logica della rinuncia, e di una certa stitichezza, mirava ad autoconcettualizzarsi e autolegittimarsi. Poi è stata la volta del mix & remix tra realismo e astrazione in un coacervo di figure e segni privo di un centro. Infine il ripristino di numerose “pratiche basse”, a cominciare dall’illustrazione e dal fumetto in un groviglio di citazioni più o meno rintracciabili, che indubbiamente hanno innervato un genere talora sfibrato. Da qui il fiorire di diversi movimenti, soprattutto negli Stati Uniti, provenienti dall’underground che hanno progressivamente conquistato l’ambito museale. Però, come spesso accade, gli stimoli più interessanti giungono da situazioni di confine, non ancora del tutto sistematizzate, magari ruspanti e con qualche tratto d’ingenuità che rappresentano forse il luogo fisico in cui la ricerca è ancora possibile.
Proprio questa è la ragione per la quale presentiamo qui insieme il lavoro di Carlos Donjuan e Marta Sesana. Texano ma nativo in Messico lui, della provincia lombarda con studio a Milano lei. Pressoché coetanei (1982 e 1981). Le differenze sono più evidenti delle somiglianze, ma entrambi raccontano il loro mondo e le proprie ossessioni, formati in egual misura dall’isolamento e dal contatto con l’ambiente circostante. Donjuan, per esempio, ha raccontato in una recente intervista alla rivista Juxtapoz di essersi sentito spesso un alieno e di vedere negli altri, nelle facce e nell’aspetto delle persone che vivono nel suo quartiere, altrettanti extraterrestri a partire dai propri amici e familiari, o comunque estranei al sentire comune e omogeneizzante della realtà globale.
I personaggi di Donjuan, senza volto o protetti da maschere che ne celano l’identità, ricordano per antitesi il lavoro che realizzò all’inizio degli anni ’80 John Ahern nelle zone più degradate del Bronx. A proposito delle sculture che decoravano i muri esterni delle case, calchi di busti e figure intere di negri e portoricani, scriveva Francesca Alinovi: “è completamente nuovo l’effetto, il risultato. Non solo perché gli esemplari umani raccolti, sistemati in regolare successione sulla parete, sono tutti di pelle scura e denunciano un’esplosiva forza razziale, ma perché quelle maschere, rimanipolate liberamente dall’artista e assieme fedelissime all’originale, sembrano sorprese, come in un’istantanea fotografica, al magico punto di contatto, o di separazione, tra morte e vita”.
Donjuan è un virtuoso sia della pittura che del disegno, un colorista dotato di indubbio talento e capace di immaginare mondi complessi cui partecipano buona parte dei linguaggi esterni alla pittura stessa. I suoi lavori si alimentano della poetica di Graffitismo e Street Art, infatti è autore di diversi interventi murali negli spazi pubblici urbani, tenendo conto delle mutazioni genetiche che questo genere artistico ha subito nei decenni e che oggi ingloba diverse tecniche non contemplate al momento della sua origine, negli anni ‘80. Il suo mondo è popolato da personaggi e situazioni che gli derivano da un’acuta osservazione della realtà quotidiana, immediatamente traslata in un universo onirico e a tratti paradossale. I ritratti di Donjuan hanno un’anima fiabesca e surreale. Nonostante si nutra della cultura dei luoghi a lui cari, al confine tra il Nord America e la componente latina più calda, possiamo ritrovare echi colti in questa pittura, con composizioni che a noi italiani ricordano il surrealismo di Alberto Savinio, mentre agli appassionati di arte americana non potranno non far venire in mente i mostriciattoli di Philip Guston, nella fase finale della carriera, quando recupera il mondo del fumetto da cui proveniva, superando la stagione dell’Espressionismo Astratto.

Se in America è comunque possibile muoversi all’interno di un sistema piuttosto fluido che considera esperienze anche molto diverse da quelle dominanti, in Italia chi opera con la pittura figurativa è spesso confinato in un limbo al confine tra la cosiddetta “arte maggiore”, quella del museo insomma, e i generi contaminati ad altri linguaggi meno nobilitati. Nonostante l’inevitabile frustrazione che può ingenerarsi in chi insiste nel praticare questo genere di arte senza protezione alcuna, sono spuntati e spuntano diversi giovani talenti meritevoli di attenzione, offrendo loro la chance di maturare e di esporre i risultati della propria ricerca.
Uno di questi talenti è appunto Marta Sesana, nata a Merate e formatasi all’Accademia di Brera. Vive e lavora a Milano in un appartamento molto piccolo (ma anche Francis Bacon era abituato a creare capolavori in pochi metri quadri) peraltro diviso con un altro pittore molto bravo, Marco Mazzoni: lei supera i problemi di uno spazio ristretto operando con fantasia e tenacia. Nel volume Eccellenti pittori Camillo Langone ci spiega che nel caso di Sesana si verifica ancora una volta il magico rito della pittura pura: “I pittori esistono ancora, anzi esistono oggi più che mai, numerosi e fecondi in ogni continente: evidentemente la pittura scaturisce da qualcosa di intimo e inestirpabile, connaturato alla persona”.
L’acuto editorialista del Foglio e del Giornale ha parlato di lei come di una “maga della tridimensione”, perché dotata della profondità di campo in quanto, “prima di dipingere realizza un modellino di ciò che deve dipingere con fil di ferro e carta di giornale e das”. Nei suoi nuovi quadri, realizzati per questa mostra, il verde è la dominante cromatica pressoché assoluta, un colore che domina l’approccio istintuale della percezione e permette analisi più approfondite di ciò che si muove sottotraccia. Ed è un mondo fantasmagorico pieno di invenzioni e colpi di scena. Ecco apparire figure e personaggi spuntati da foreste incantate e boschi magici. Ma si farebbe un errore a identificare Marta come un’autrice fantasy, nonostante una spiccata predilezione per la sospensione spazio-temporale e per le facce mostruose e tenerissime dei suoi personaggi che rimandano a personaggi tolkeniani. Forse però non considera proprio un punto di partenza Il signore degli anelli e quegli altri romanzi che hanno formato un genere peraltro bistrattato dalla critica ufficiale, anche con assurde motivazioni ideologiche, Tra i punti di riferimento preferisce citare artisti contemporanei come Alessandro Pessoli e Dana Schutz. E poi la musica di Syd Barrett, nelle atmosfere allucinate delle sue composizioni con i primi Pink Floyd, oppure la darkitudine dei Cure da cui sostiene di aver preso il titolo de La foresta, un complesso trittico che cita l’omonima canzone della band di Robert Smith e che probabilmente è il suo lavoro più vicino al capolavoro.

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