Cristina Pancini, A Casa, 2012, Tecnica Mista Su Carta, 200×150 Cm

17.01 – 2.03.2013

CRISTINA PANCINI- A Casa

A cura di Matilde Martinetti

Antonio Colombo è lieto di presentare la personale di Cristina Pancini (Arezzo, 1977), a cura di Matilde Martinetti.
A casa propone un nuovissimo corpo di lavori che esplora la dimensione “domestica” del vivere. Per questa occasione, l’artista ha trasformato il contesto espositivo nella rappresentazione di una casa. Immagini e spazio si nutrono a vicenda, per dare corpo ad un percorso che va dall’esterno (il cortile, rappresentato al piano superiore della galleria, dove si apre una processione di animali), all’interno (il piano inferiore, dove è invece ricreato il nucleo abitativo). Ne risulta una sapiente narrazione visuale, che “costruisce” una casa dalla posa della prima pietra alla sedimentazione della dimensione più intima e inviolabile dello spazio vissuto: la Memoria.
Come di consuetudine nella prassi di Cristina Pancini, una molteplicità di suggestioni (letterarie, visive, e oltre) si fondono ad una dimensione più intima e privata per dare corpo all’ossatura della mostra e, al tempo stesso, alimentare la complessità di senso di ogni sua singola componente. Complessità di senso che il nuovo taglio compositivo di questi ultimi lavori rimarca. Un ampio spazio bianco, infatti, avvolge i soggetti per astrarli da qualsiasi riferimento spazio-temporale così che, sebbene parte di un progetto corale, ogni elemento metta in risalto anche la sua precisa funzione nel quadro della narrazione/mostra. Che si tratti di mani (anziane o giovani, ci parlano della casa come scambio osmotico tra memoria e proiezioni future), o di animali (nel cortile, ad esempio, il lupo è portatore di equilibrio, mentre il gatto rappresenta la concentrazione). E così via.
Incardinati in un unico nucleo tematico, tutti i soggetti del piano superiore convergono verso quello inferiore, dove è ormai evidente come la dimensione installativa sia entrata a pieno titolo nel lavoro di Cristina Pancini. Armadi, scrivanie, specchi e mobili vari impongono la loro presenza, accolgono i disegni, ne condizionano le dimensioni (e il senso), e contribuiscono ad alimentare quel concetto di casa, teso tra passato, presente e futuro che informa di sé tutta la mostra. Concetto che, qui, al piano inferiore, diventa sintesi, praticabile, di spazio abitativo/abitato e spazio simbolico.
Rimane un dubbio rispetto al senso di quel “a” casa, se si tratti di un andare verso (un moto a luogo), o di un esserci (uno stato in luogo). Ma, tutto sommato, è un dubbio irrilevante.
Il termine “casa” agisce comunque sul nostro vissuto, per sollecitarci ad accogliere un invito. Ovvero, rispolverare (per condividere?) le nostre memorie. E i nostri sogni. Proprio quelle cose, appunto, custodite, gelosamente, nei cassetti.
In galleria sarà disponibile il catalogo della mostra con un testo di Matilde Martinetti.

Cristina Pancini è nata ad Arezzo il 19 dicembre 1977. Attualmente vive e lavora tra Arezzo e Milano.
Si è laureata nel 2003 in Scienze per la Conservazione dei Beni Culturali e, nello stesso anno, ha frequentato L’Ecole Nationale Supérieure d’Art di Bourges. Si è poi diplomata nel 2008 presso il dipartimento di pittura dell’Accademia di Belle Arti di Firenze.
Ha preso parte a mostre personali tra cui Cambio d’abito, Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano (2011), Opus, a cura di Ivan Quaroni, Nur Gallery, Milano,(2009) e Niente, a cura di Matilde Puleo, Galleria d’arte contemporanea Mega+mega, Arezzo(2009).
Tra le collettive si ricordano, Dolomiti Contemporanee, Sass Muss 2011, a cura di Gianluca D’Incà Levis, Officine dell’Umbria 011, a cura di Maurizio Coccia e Mara Predicatori, Ex Mattatoio, Trevi (2011), Premiata Officina Trevana 2011, a cura di Maurizio Coccia e Matilde Martinetti, Palazzo Lucarini, Trevi (2011), Orde di Segnatori, a cura di Giuliano Guatta, Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano (2010)
Nel 2009 si è classificata seconda al Premio Celeste e nel 2012 finalista al Premio Combat.

Oltre il cortile, dentro un cassetto.

di Matilde Martinetti

Odora di scarpe sfondate e terra battuta. Di sudore e concentrazione. Di pietre che si legano, di calcina che tira. Di fili tesi e panni stesi ad asciugare. Di una valigia da disfare. Di canfora, e muffa alle pareti. Vibra di suoni animali. Di ante cigolanti, di chiavi nelle serrature. Del silenzio di chi è assente e della laboriosità, quotidiana, di chi è ancora qui. O di chi ci sta tornando.

A casa.

Tutto ha inizio, come sempre, da un’intuizione. Un concetto, una parola liscia e rotonda. Ma, da qui in poi, tutto si complica. Si confondono le carte, ed emerge la complessità che alimenta quelle quattro lettere, alla ricerca di un ordine che si compie solo alla fine del processo creativo.
Ma andiamo, appunto, per ordine. L’intuizione iniziale: trasformare lo spazio espositivo in una casa. Un primo nucleo – il nucleo affettivo e personale di Cristina Pancini, presta il fianco, così che la mostra possa muovere i primi passi da un nocciolo ben solido. Su questo, Cristina ha rovesciato una molteplicità di stimoli. Spunti onnivori, che provengono dalla storia dell’arte come dalla filosofia, dal cinema, dalla letteratura. Suggestioni captate seguendo il filo logico di una ricerca sul tema, e che hanno contribuito ad allargare quel primo seme.
Così, da una combinazione vorace di pubblico e privato, l’intuizione iniziale – “Costruisco una casa!” – si scolpisce, ed evolve nella suddivisione dei due piani dello spazio espositivo in due diversi ambienti. Uno esterno, uno interno.
Ecco quindi il cortile (al piano superiore), e il nucleo abitativo (al piano inferiore). Entrambi ospitano una sapiente narrazione visuale, che ci racconta la “costruzione” di questa casa – proprio di questa, che stiamo ora percorrendo – dalla posa della prima pietra alla sedimentazione della dimensione più intima e inviolabile dello spazio vissuto: la Memoria. È un racconto per immagini che, nella sua lettura, ci vuole (ci pretende) ospiti.

È permesso?

Lo spazio esterno, dicevamo. Una processione, solenne, di animali – sguardo rivolto verso il piano inferiore – apre le fila della narrazione per contribuire alla costruzione della casa, ognuno con un proprio apparato simbolico. Niente, infatti, è mai lasciato al caso nei lavori di Cristina, e la sapiente perizia tecnica dei disegni corrisponde ad una altrettanto sapiente elaborazione concettuale. Così, ad esempio, il lupo è portatore di equilibrio, mentre l’agnello di resistenza e caparbietà. L’usignolo doma i materiali, li trasforma in nido, e porta il sacrifico necessario alla realizzazione dell’opera. Mentre il gatto – che in questo racconto sceglie la prima pietra – rappresenta la concentrazione della scelta (il gatto, non a caso, cade sempre in piedi). (Proprio un nuovo taglio compositivo alimenta la complessità di senso di questi ultimi lavori. Un ampio spazio bianco, infatti, avvolge i soggetti per astrarli da qualsiasi riferimento spazio-temporale così che, sebbene parte di un progetto corale, ognuno metta in risalto anche la sua precisa funzione nel quadro della narrazione/mostra). E lì, dove si apre il cortile, non possiamo non trovare delle mani a dare senso a questo spazio domato, addomesticato. Mani vecchie e mani giovani, che collocano la storia in una dimensione temporale, quella del prima e del poi, e che si intrecciano agli animali nel ricorrere di alcuni elementi (la foglia nascosta tra le dita callose, ad esempio, è la stessa foglia che l’agnello calpesta).

La casa viene costruita, e viene agita. Ha un suo passato, un suo presente, un suo futuro. Edifica la propria storia.

Il cortile, dicevamo. Ben saldi in un unico nucleo tematico, e altrettanto saldamente ancorati alla propria funzione nell’ambito della narrazione/mostra, tutti gli animali procedono verso il piano inferiore dove si entra, letteralmente, nello spazio abitato. Verrebbe quasi da chiedere “permesso”, bussare alla porta. Ci si aspetta di essere accolti. Armadi, scrivanie, specchi e mobili vari impongono la loro presenza, ricevono i disegni, ne condizionano le dimensioni (e il senso). Contribuiscono a creare quella sintesi, praticabile, di spazio abitativo/abitato e spazio simbolico. La dimensione installativa entra a pieno titolo nel lavoro di Cristina Pancini. Parte di un progetto artistico corale, si fa strumento per esplorare le infinite possibilità che l’ambiente (e l’ambientazione) apre ai lavori, se collocati in un cassetto, o dietro l’anta di un armadio. Diventano anche piccoli, piccolissimi. E, qui, tra i mobili di casa, si mostrano chiaramente i suoi abitanti. Quei volti dietro le mani. Erano mani vecchie, che ricordano. E mani giovani, che disegnano il futuro. Ora ne vediamo braccia, pance, dita… elementi scomposti che, per sintesi, ci inducono a ricostruire un tutto e che, proprio in questa “scomposizione”, rimandano ad un’idea di casa antropometrica, costruita a nostra misura. Perciò, sebbene ogni situazione “ambientale” al piano inferiore (armadio, scrivania, specchio, salotto) corrisponda ad una diversa sfumatura del concetto di casa, tutte assieme valgono per la loro natura simbolica, e ci ricordano che “Casa” è un’idea che ci accompagna, non tanto (o esclusivamente) un luogo fisico.

Ritorna odore di terra, di olio che unge i chiavistelli, di coperte di lana. Vibrano passi sui tappeti, il fuoco che crepita, le matite che incidono la carta. Tutto oscilla tra un sentimento nostalgico e propositivo, tra uno stare ed un andare, tra ieri e domani. Lo sguardo si volge al passato, così come si disseta del futuro.

Vibrano passi sui tappeti, dicevamo. C’è chi parte, e chi torna. A casa. Il titolo mantiene una sua voluta ambiguità. Ci lascia il dubbio rispetto al senso di quel “a” casa, se – appunto – si tratti di un andare verso (un moto a luogo), o di un esserci (uno stato in luogo). Ma, tutto sommato, è un dubbio irrilevante, anzi è proprio la chiave di volta di questa narrazione/mostra. Perché “casa” è (considerazione di cui sopra) un concetto. E Cristina ci racconta la storia del suo costruirsi, tra un accumulo di ricordi (mani vecchie), e uno spazio in cui edificare il futuro – e dunque potenziali, ulteriori ricordi (mani giovani). “Casa” è ciò che deve ancora diventare presente, e che – in altri posti e in altri tempi – diventerà, un giorno, passato.

E dunque accomodatevi, prego.

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