Giuliano Sale, Iyomante, 2011, Olio Su Tela, Cm 220×170

10.02 – 31.03.2011

GIULIANO SALE – Biedermeier. L’Umanità al Crepuscolo

a cura di Ivan Quaroni

Il 10 febbraio Antonio Colombo presenta Biedermeier, la prima mostra personale del giovane artista Giuliano Sale a Milano.

Così scrive Ivan Quaroni:

“Il Biedermeier è uno stile diffusosi in Europa intorno alla metà dell’Ottocento, in opposizione alla pomposità dello Stile Impero. Il termine, ma con significato dispregiativo, deriva da un personaggio creato dagli scrittori Adolf Kussmaul e Ludwig Eichrodt che incarna il tipo del piccolo borghese apolitico e conservatore, interessato solo alla vita familiare. È un vocabolo composto da due parole, l’aggettivo Bieder, che significa semplice, e Meier, uno dei cognomi tedeschi più diffusi.

I personaggi di Giuliano Sale sono soggetti estremi, ipertrofici borderline e decadenti drop out, che esprimono istanze opposte rispetto ai valori del Biedermaier. In qualche modo, la loro follia nasce proprio dalla non accettazione della equilibrata morale piccolo borghese. Biedermeier è quindi un titolo ironico, perché afferma un concetto che è esattamente opposto a ciò che l’artista intende rappresentare, rimandando all’osservatore la capacità di cogliere l’ambiguità sostanziale dell’enunciato.

Quella rappresentata da Giuliano Sale è una versione distorta e malsana della pallida bellezza preraffaellita. Le sue vergini, placidamente collocate sullo sfondo di sinistri paesaggi romantici, percorsi da cieli perennemente plumbei, ricordano le anemiche eroine di un romanzo gotico o di un racconto di Edgar Allan Poe. L’iconografia di certa pittura simbolista minore e limitrofa rivive, infatti, nell’immaginario dell’artista, che ad essa s’ispira per rappresentare la deriva spirituale dell’umanità contemporanea.”

Giuliano Sale è nato a Cagliari nel 1977. Vive e lavora a Milano.

Principali mostre collettive: 2010 Italian Newbrow-Misteri, C.A.P.A. Casa Arcangelo progetto d’arte, San Nazzaro (Benevento), a cura di Ivan Quaroni; Quattordicesima Biennale d’Arte Sacra – Le Beatitudini evangeliche, Museo Stauros d’Arte Sacra Contemporanea, Isola Del Gran Sasso, a cura di Luca Beatrice; The Berlin Wall, Promenade Gallery contemporary art, Vlore, Albania; Forward_Rewind, Colombo Arte Contemporanea, Milano; 2009 SerrONE – Biennale Giovani, Serrone della Villa Reale, Monza; 2008 Alone, Galleria TubeGallery, Milano, a cura di Arsprima; Beata Remix, Ancona, a cura di D. W Pairone; 40×40, Galleria Studio d’Arte Fioretti, Treviolo (BG), a cura di I. Quaroni; Overture, Galleria San Salvatore, Modena, a cura di I. Quaroni; A momentary lapse of Reason , Galleria Studio d’Arte Fioretti, Treviolo (BG), a cura di I. Quaroni; CityBernetica, Galleria TubeGallery,Milano, a cura di Arsprima; Summer extra small, Associazione Culturale Arsprima,Milano, a cura di Arsprima; Whaleless , Strychnin Gallery, Londra, a cura di G. Cervi e R. Pira; Allarmi 2008 Caserma de Cristoforis, Como, a cura di I. Quaroni, A. Zanchetta e A. Trabucco; Arrivi e Partenze, Mole Vanvitelliana, Ancona, a cura di A. Fiz e W. Gasperoni; Bye Bye Baby, Studio 168, Cagliari, a cura di R. Vanali;

Principali mostre personali: 2010 L’Oblio, Antonio Colombo Arte Contemporanea (Little Circus), Milano, a cura di M. C. Valacchi; 2007 Lullaby, Galleria Capsula, Roma, a cura di S. Elena ed E. Olmetto; 2006 Embryo-Onis, Galleria Studio 20, Cagliari; 2005 Spinky & Co, Galleria My Mask, Cagliari, a cura di R. Vanali; Zone Parallele, rassegna d’arte contemporanea, Galleria La Bacheca, Cagliari, a cura di R. Vanali.

Biedermeier. L’umanità al crepuscolo.

Ivan Quaroni

La mia umanità non consiste nel partecipare ai sentimenti degli uomini,
ma nella capacità di sopportare questa partecipazione.
(Friedrich Nietzsche, Ecce Homo, 1888)

Che cos’è un “contemporaneo”?
Uno che ci piacerebbe ammazzare, senza sapere bene come.
(Emil Cioran, Il funesto demiurgo, 1969)

L’arte è una testimonianza del tempo. Quante volte abbiamo sentito questa affermazione. Ma che cosa significa realmente? Testimoniare il proprio tempo è un’azione controversa. Qualcuno potrebbe intendere tale testimonianza come una trascrizione o nel migliore dei casi un’interpretazione delle tensioni e delle urgenze della contemporaneità. Come nel caso di un artista che osservi il mondo e la società entro cui vive, formulando un proprio pensiero in proposito e traducendolo nel linguaggio artistico a lui più congeniale. Questo tipo di artista è simile al cronista, radicato in una dimensione temporale specifica, caratterizzata da forme, oggetti, atmosfere, ambientazioni che immediatamente ci riportano al presente nel quale siamo immersi. Questa è la maniera più immediata di testimoniare il proprio tempo. C’è poi un altro modo, più schivo, indiretto, laterale di guardare al proprio tempo, che consiste nell’occuparsi di ciò che non è evidente e tangibile, ma che pure determina in modo sostanziale i tratti distintivi di un’epoca. Giuliano Sale appartiene a questa seconda categoria di artisti, che preferiscono rivolgere l’attenzione non alla realtà esteriore e fenomenica, potremmo dire perfino ottica, ma a quella intraducibile dei moti interiori, delle pulsioni, delle paure, delle intuizioni. Niente è più lontano dalla pittura di Giuliano Sale delle espressioni che aderiscono alla realtà in maniera mimetica, epidermica, riportando sulla tela i segni manifesti del contemporaneo sotto forma di personaggi, scenari, ambientazioni, perfino idee riconoscibili o facilmente decrittabili. Al contrario, la pittura di Giuliano Sale somiglia a quella di un altro tempo, sospeso  tra l’Ottocento Romantico e il Novecento Espressionista, un’epoca in cui è lecito ravvisare le tracce di certo simbolismo macabro, di stampo nordeuropeo, come pure di molta pittura di genere e di paesaggio, che egli amplifica e dilata fino a trasfigurare. La persistenza di temi e topoi iconografici tradizionali nella pittura di Sale risponde, infatti, ad una necessità interiore di confrontarsi con i maestri del passato, soprattutto con coloro che hanno rappresentato un punto di svolta nella concezione romantica e anti-classica della storia. Il simbolismo estenuato dei preraffaelliti e dei pittori francesi e belgi della fine dell’Ottocento, così come le atmosfere cupe e crepuscolari del primo Espressionismo costituiscono il punto di partenza di un ipotetico percorso di abolizione del senso d’armonia e d’equilibrio classici.

Giuliano Sale associa questa ossessione per i valori positivi al Biedermeier, uno stile diffusosi in Europa intorno alla metà dell’Ottocento, in opposizione alla pomposità dello Stile Impero. Il termine, con significato dispregiativo, deriva da un personaggio creato dagli scrittori Adolf Kussmaul e Ludwig Eichrodt, il quale incarna il tipo del piccolo borghese apolitico e conservatore, interessato solo alla vita familiare. Si tratta di un vocabolo composto da due parole, l’aggettivo Bieder, che significa semplice, e Meier, uno dei cognomi tedeschi più diffusi.  Di contro, i personaggi creati dall’artista sono soggetti estremi, ipertrofici borderline e decadenti drop out, che esprimono istanze opposte rispetto ai valori del Biedermaier. In qualche modo, la loro follia nasce proprio dalla non accettazione della equilibrata morale piccolo borghese. Biedermeier è usato in questo caso in un’accezione eufemistica, in quanto affermazione di un concetto opposto rispetto a ciò che l’artista intende rappresentare.

L’interesse per la difformità e l’imperfezione, per l’eccedenza e lo squilibrio si traduce quindi nella descrizione di soggetti destabilizzanti, di scenari che incutono un sentimento di cupo struggimento. Un esempio di questa attitudine la ritroviamo nell’interpretazione rovesciata del paesaggio arcadico, tradizionalmente associato ad un senso di pacata serenità. Le lande fosche e desolate di Sale sono, difatti, luoghi in cui incombono tetre apparizioni e sinistri presagi e la Natura appare come un’entità irrequieta e minacciosa. Tra cupe distese e lugubri alture, sempre gravate da cieli plumbei o insanguinati, Sale dispone una teoria di figure epifaniche, quasi spettrali, che il paesaggio annega in uno spazio tenebroso. In questa “terra ansante, livida, in sussulto”, sovrastata da un “cielo ingombro, tragico, disfatto” di pascoliana memoria[1], si allignano ritratti d’uomini e donne sgomenti e attoniti.

Proprio il genere del ritratto fornisce all’artista l’occasione di indagare la dimensione dell’indicibile e dell’intraducibile. La paura e il fascino della morte, la sofferenza e la passione dell’esistere, i moti più reconditi dello spirito e della psiche, le pulsioni inconfessabili, le innominabili smanie e le lascive prurigini, insomma tutto ciò che risiede nell’ombra, e che pure determina l’avventura umana, domina la pittura di Sale. Dal punto di vista formale, la reminescenza degli stilemi di certo Simbolismo minore, diventa strumento efficace per descrivere la deriva spirituale dell’umanità. Uno degli aspetti più significativi del lavoro di Sale è, infatti, costituito da una latente inclinazione narrativa. Nei suoi dipinti, il quotidiano si mescola al sovrannaturale, in un avvicendarsi di situazioni stranianti che lasciano campo a molteplici interpretazioni.

Non è mai chiaro, infatti, che cosa animi i suoi personaggi, sovente impegnati in azioni equivoche e inafferrabili, sospese tra il rituale e il delittuoso, tra l’impudico e l’osceno. Perfino gli accadimenti apparentemente più banali e prosaici, filtrati dalla pittura dell’artista, rivelano una sensibilità attenta al dramma, che induce l’osservatore ad una lettura straordinaria ed eccentrica degli eventi rappresentati. “Il dramma”, come infatti affermava Alfred Hitchcock, non è altro che “la vita con le parti noiose tagliate”.

Altro elemento fondante nell’arte di Sale è l’utilizzo della pittura coma forma d’introspezione, come mezzo d’indagine personale che trasforma la sua ricerca in un viaggio di scoperta, in un cammino erratico, pieno d’inciampi e ripensamenti, di ostacoli e scoperte che palesano la natura epifanica del suo immaginario. Passando attraverso dubbi e illuminazioni, in un divagare che da un lato circoscrive inadeguatezze e fragilità e dall’altro potenzia la forza espressiva delle intuizioni, l’artista sembra dunque sottoporre il suo operato a un esame costante, inteso a verificarne l’onestà e la necessità. Ne risulta uno stile essenziale, morfologicamente scarno, ma intenso e concentrato, dal quale emerge una tensione verso il sublime ed un interesse nei confronti di tutto ciò che è psicologicamente ambiguo o addirittura abbietto.

Proprio in questa attenzione, in questa capacità di cogliere ciò che, invisibile, si agita nella dimensione atemporale della coscienza umana, Giuliano Sale dimostra di essere artista del presente. D’altra parte, come scriveva André Gide, “il presente sarebbe pieno di tutti i futuri, se il passato non vi proiettasse già una storia”[2].

[1] Giovanni Pascoli, Il lampo, nella raccolta Myricae.
[2] André Gide, I nutrimenti terrestri, 1897.

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