Il Disprezzo, 150×200, Olio Su Tavola

17.01 – 8.03.2002

ANDREA SALVINO – Il Disprezzo

testo di Bartolomeo Pietromarchi

Una storia rimossa, dimenticata; luoghi e personaggi anonimi, come tanti altri; dipinti e disegni realizzati con tecnica «impersonale»; un video apparentemente documentario; un titolo, Il disprezzo, forte, militante, che prende posizione e commenta, rovesciando la prospettiva di un apparente distacco.
Oggetto della poetica di Andrea Salvino è la storia contemporanea sociale e politica, in particolare quella a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, caratterizzata dall’essere espressione collettiva e per avere come scenario la metropoli. Nelle sue opere, sin dagli esordi, scene di guerriglie urbane, manifestazioni, attentati, slogan da lotta di classe, tutto quel materiale che potremmo definire di antagonismo sociale è stato trasformato in materiale per un’arte che attraverso il paradosso linguistico e visivo ne riattualizzava o negava il messaggio.
Recentemente Salvino si è spinto più avanti. Le sue ultime mostre sono infatti il frutto di progetti più complessi e articolati che hanno come punto di partenza una riflessione sul contesto. Prendendo le mosse dalla città e da quella particolare storia di cui si è detto, le sue opere formano un percorso che non si limita allo spazio espositivo ma ambisce ad intervenire sul contesto stesso. Addentrandosi nei temi di una memoria spesso rimossa, l’artista ne fa’ riaffiorare degli elementi come veloci lampi della coscienza, immagini che riaffiorano dall’oblio e che colpiscono in modo diretto e inaspettato. Attraverso la chiave del coinvolgimento, che sia emotivo o mentale, che sia dell’artista o dello spettatore, Salvino ci restituisce una immagine della metropoli che passa attraverso una memoria collettiva contribuendone a determinare l’identità.
In tal senso è costruita anche questa mostra che ne rappresenta, a mio avviso, l’esempio più ambizioso e riuscito. Salvino prende le mosse da un fatto storico dimenticato della storia di Milano che è prima di tutto un fatto della storia della città. La storia è quella di Claudio Varalli e Giannino Zibecchi, due giovani che persero la vita a Milano nell’aprile del 1975, a distanza di un giorno l’uno dall’altro, il primo ucciso da un gruppo di militanti dell’estrema destra il secondo durante le manifestazioni che seguirono l’evento. Una delle tante storie di manifestazioni metropolitane che continuano a ripetersi con le stesse forme e modalità anche oggi.
Da questa premessa l’artista ripercorre le tracce della storia, torna sui luoghi dove è avvenuta, incontra le persone che l’hanno vissuta, ritrova le immagini che la testimoniano. Attraverso reportage fotografici, colloqui con i testimoni e materiali di repertorio, l’artista si addentra nel rimosso della memoria. Ma il suo intento non è documentario. Il suo percorso diventa partecipazione, ricomposizione dell’identità dell’individuo e di un luogo. Riportando in vita una storia, se ne appropria; attraverso le opere la restituisce in frammenti decontestualizzati che ne rivelano l’universalità, che suggeriscono e fanno riflettere, ma che non ricostruiscono. Attraverso il percorso della mostra, attentamente studiato in un sottile equilibrio tra passato e presente, tra immagini evocative o apparentemente anonime, ricompone i fili di una memoria collettiva restituendole dignità e visibilità.
Il suo intento è quello di coinvolgere lo spettatore a prendere una posizione, che sia partecipazione emotiva o riflessione intellettuale. Partecipazione e riflessione, ovvero gli elementi che costituiscono l’etica e la morale.
La mostra è la formalizzazione di questo processo. Appena entrati nello spazio siamo investiti dal gigantesco quadro, che copre interamente una delle pareti, del ‘luogo della scena’ dove si è svolto il fatto storico. E’ l’immagine di Corso XXII Marzo, un viale deserto che potrebbe essere in ogni città, un comune paesaggio metropolitano, luogo anonimo privo di caratterizzazione temporale. La quinta dell’evento della tragedia ci accoglie nel suo silenzio in sospensione temporale. La dimensione del quadro invita lo spettatore a entrare nello spazio rappresentato, divenendo attore di una scena, presente sul luogo e testimone dell’evento.
Di fronte, un ritratto in posa a mezzobusto di una tuta bianca, in divisa da manifestazione, uno di quei personaggi che l’artista definisce ‘antagonisti sociali’. E’ l’immagine di un individuo senza nome che rappresenta una tipologia e un atteggiamento. Immobile nella sua fissità, nella sua scontrosa fierezza, enigmatico per il fatto di essere quasi totalmente coperto da cappuccio e fazzoletto sul viso, osserva lo spettatore con sguardo severo. Attraverso due tipologie classiche, quelle del ‘paesaggio’ e del ‘ritratto’, apparentemente pacifiche e inoffensive, l’artista, senza nulla dire, crea un’atmosfera di attesa e di sospensione carica di tensione.
E l’evento non si fa attendere. Nel video, proiettato nella seconda sala, scorrono le immagini di repertorio in bianco e nero del fatto, filmato da amatori e rimontato dall’artista. Il dramma è messo in scena nello stesso luogo raffigurato nel quadro, ma questa volta le immagini sono «reali», crude e dirette, senza commento ma coinvolgenti, filmate con la telecamera a mano. Come in una rappresentazione teatrale, i fatti si ripetono secondo un tragico copione: la manifestazione, la carica della polizia, il morto, il funerale… un copione che si ripete con pochissime varianti nell’attualità. E’ il momento di maggior coinvolgimento emotivo, l’azione è presentata in tutta la sua più spoglia essenzialità, senza filtri o sottolineature.
Altre opere ripropongono il sottile gioco dello slittamento temporale, la confusione tra passato e presente e tra realtà e rappresentazione. L’uniformità stilistica dei dipinti e dei disegni ne elimina intenzionalmente ogni caratterizzazione temporale. I fori che l’artista ha realizzato su una delle tele esposte sottolineano la relazione tra spazio mentale e reale; ma, sarcasticamente, il puro gesto spaziale è messo in relazione con l’immagine rappresentata e si contestualizza: l’urgenza del passato ritorna nel presente e lo spazio rappresentato prosegue in quello reale attraverso la violenza dei fori di proiettili.
Slittamenti e partecipazione proseguono, fuori dal percorso espositivo ma sempre come parte integrante del progetto: il testo che Salvino ha chiesto all’associazione ‘Per non dimenticare Varalli e Zibecchi’ pubblicato nelle pagine di questo catalogo è una testimonianza in forma di cronaca degli avvenimenti e delle loro conseguenze. Un altro modo per ricordare e per coinvolgere. La mostra vuole essere infatti anche una occasione in cui si ritroveranno, confuse tra il pubblico, persone che vogliono ricordare. I confini della ricerca artistica sono travalicati nella costruzione di un evento, di un momento di riconoscimento di un’identità collettiva. Riconoscimento che non si limita a commemorare ma che attraverso la chiave di lettura del titolo, formula un giudizio al quale siamo costretti a rispondere, positivamente o negativamente. Con estrema abilità l’artista ci porta al centro della scena, non siamo più solo spettatori dell’evento, ma vi stiamo partecipando.
Se i contenuti del progetto ruotano attorno alle delicate tematiche dell’etica e della morale, su un cosciente quanto labile equilibrio tra immagini anonime e fortemente evocative, che tuttavia non cadono mai nel nostalgico, è anche perché la loro formalizzazione artistica passa attraverso una coerenza stilistica e un rigore formale indipendenti dal mezzo che l’artista decide di utilizzare. Come l’uso del video o della fotografia hanno le caratteristiche del reportage di prima mano, così la pittura non concede nulla ad accenti estetici o virtuosismi stilistici, fatta di gesti controllati ed essenziali, che recuperano una certa tipologia formale che si ispira alla tradizione pittorica italiana di contenuto sociale a cavallo tra Ottocento e Novecento (da Pelizza da Volpedo a Morbelli). Una scelta che non è certo una volontà di citazione bensì una naturale propensione verso un momento della storia recente dell’arte che più di ogni altro ha avuto contenuti direttamente politici.
Che sia il materiale storico o i codici linguistici conosciuti, l’operazione artistica di Salvino passa attraverso la riappropriazione e la ricombinazione degli elementi e attraverso un lucido e preciso progetto linguistico. Immagini e significati sono decontestualizzati e riattualizzati attraverso l’alchimia tra tipologie formali, codici riconosciuti e coinvolgimento emotivo e mentale, tra sfera etica ed estetica.

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